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Il mio viaggio nella Storia del Cinema: dal 1965 al 1968

E con questo ho finito il diario di viaggio per ora, perché sono alla fermata del 1969 e ne avrò ancora per qualche settimana prima di vedere tutto quanto voglio vedere. Poi metterò nero su bianco. Alla prossima!
1965
Prima di dare una rapida scorsa a quest’anno con qualcuno dei film che ho amato di più mi piace fare anche qualche altra segnalazione: tra le mini-serie è nota quella con Juliette Greco: “Belfagor”, che è un mystery molto lento per i nostri gusti, ma l’ho finito lo stesso tutto perché mi piaceva. Parte quest’anno la felicissima serie di “Giochi senza Frontiere”, che per una ventina d’anni fu uno degli appuntamenti più amati dei telespettatori italiani. In tv vanno ancora i fantasy come “Strega per amore”, con Larry Hagman prima di far soldi col petrolio. Esordisce Sally Field nel telefilm “Gidget”, aveva 15 anni.
Passiamo ai film allora, ma devo lasciare da parte Zivago, Connery, Dentone, Giuletta degli Spiriti, Michael Caine, Leone, Burton, Carrà e Julie Andrews. Ahimé.
Repulsion” di Polanski è una delle più belle prove di Catherine Deneuve, che più guardo i suoi film più entra di prepotenza nella classifica delle mie attrici preferite. La Deneuve qui è una ragazza che ha qualche problema: è ossessiva, soffre di disturbi psichiatrici, ha delle allucinazioni. Il suo status peggiora una sera che resta da sola a casa. Nessuno si accorge veramente di quanto soffra e la ragazza peggiora sempre di più, con risvolti drammatici. Dico solo che la scena della crepa nel muro è fenomenale.
Io la conoscevo bene” di Pietrangeli, è un film con Stefania Sandrelli e Mario Adorf. La Sandrelli ha avuto tipo tre carriere: quella di giovane star italiana, quella post-Brass e quella di attrice di esperienza che sta vivendo adesso. Il suo sguardo timido e dimesso di questo film ha molto in comune con quello della Cardinale prima maniera. La Sandrelli vede infrangersi sul selciato le sue speranze di diventare una star del cinema perché gli uomini che le girano intorno la sfruttano e la illudono. Tra questi c’è Adorf, che è un attore che mi piace un sacco. Un genitore tedesco e uno italiano, Adorf si è mosso senza problemi da un set all’altro mostrando enorme versatilità: lo trovi nelle commedie italiane anni ’60 e lo trovi nei film tv tedeschi alla Derrick, per lui nessun problema.
La vita corre sul filo” di Pollack, con Poitier e Bancroft è un thriller che si svolge nello sguardo di Sidney Poiter e nell’ansia di aiutare una donna che dall’altro lato di un telefono amico segnala la sua volontà di suicidarsi. Poiter non è esperto, ma è di turno, e ormai ha preso in carico il caso. Tutto quello che deve fare è trattenere la Bancroft a lungo, molto a lungo, affinché possano rintracciare la chiamata e impedire il suo gesto. Questo film è interessante perché non c’è mai nessuna allusione al colore della pelle di Poitier, non è rilevante per il plot.
Rapimento” di John Guillermin con Patricia Gozzi, Dean Stockwell e Melvyn Douglas. La Gozzi l’ho citata già in un film con Hardy Kruger. A me questa attrice piace molto, è davvero intensa e drammatica. Qui veramente siamo in un contesto di puro e assoluto squallore, perché la Gozzi vive una vita solitaria in un luogo isolato col padre Melvyn Douglas. Un giorno arriva nei dintorni un evaso, e la Gozzi fa amicizia con lui. Lei ha bisogno di vivere, mentre il padre vorrebbe tenerla in casa e buttare la chiave. È uno di quei film che sembra che fuori sia autunno e che piova anche se è mezzogiorno di una giornata di maggio.
La decima vittima” di Elio Petri, vede Mastroianni e Andress in un futuro imprecisato darsi la caccia a vicenda. C’è una specie di reality show in giro in cui ci sono i cacciatori e le prede. I cacciatori devono uccidere 10 prede, e le prede devono sfuggire loro. Non si può mai sapere i gusti della gente. Questo futuro ha comunque i colori degli anni ’60, lo stile e la criniera di Ursula Andress che guarda caso è una delle più brave cacciatrici. Deve far fuori Mastroianni, ma prima vuole un po’ giocare al gatto e al topo.
Bunny Lake è scomparsa” di Otto Preminger, è un cupo thriller con Keir Dullea, Carol Lynley e Laurence Olivier. A dire il vero Olivier ha una parte molto marginale, fondamentalmente è il film della Lynley e di Dullea. Per chi non avesse dimestichezza con questi volti, la Lynley fu attiva a cavallo tra i ’60 e il ’70 ed è una delle vittime del Poseidon, mentre Dullea è la star di 2001 Odissea nello spazio ed è un attore che si è sempre fatto i fatti suoi, non è mai diventato star di prima categoria, ma si è scelto delle parti interessanti come questa qui. Insomma Dullea è il fratello di Lynley, e non si trova la bambina di lei. L’hanno portata a scuola, ma nessuna l’ha vista, le maestre non l’hanno vista, le amiche nemmeno. Questa bimba non esiste. La Lynley se la sarà immaginata? Lei è certa di avere una bimba, è certa, esiste!
Il collezionista” è uno dei film meno noti di William Wyler, con Terence Stamp e Samantha Eggar. Stamp, di lui non c’è mai da fidarsi. Ha deciso che invece di collezionare farfalle gli piace collezionare ragazze, e un giorno cattura la Eggar e la chiude nel suo scantinato. Lui non ha fatto niente di male, la Eggar viene trattata coi guanti, ha da mangiare, ha di che svagarsi, ha tutto, basta solo che sia felice di essere reclusa a vita da un pazzo e che non provi mai a scappare, che ci vuole?
1966
Eccoci al ’66, che bello quest’anno di cinema, bello! Qualche riga su altri generi e poi passo ai film che mi vien voglia di ricordare.
Qolga” è un corto che ho trovato in youtube del regista Kobakhidze. Si tratta di un ragazzo che vive da solo lungo i binari del treno e ha un’amica che ogni tanto lo va a trovare. All’improvviso un ombrello prende vita e inizia a volare da solo. In quest’anno parte la serie “Tre nipoti e un maggiordomo”, con Brian Keith e 3 baby star, ciascuno con la sua dose di sfortuna personale. Questa serie ha i colori e le moquette giuste per immergersi negli anni ’60. Ovviamente questo è l’anno di “Star Trek”, di “Batman” e “Mission impossibile”. Si tratta di tre serie di culto che tutti ovviamente ben conoscono. Tra i rari film tv di buon livello degli anni ’60 c’è uno di Rossellini: “La presa del potere da parte di Luigi XIV” che è anche uno dei film preferiti del padre da parte di Isabella. Poi esce la famosa versione animata del Grinch che ruba il Natale.
Chi ha paura di Virginia Woolf?” è il film che regala a Liz Taylor il suo secondo oscar. Ci sono solo 4 personaggi (vabbé 6 c’è una scena al bar) che sarebbero Liz Taylor e il marito Burton, George Segal e Sandy Dennis. Sono uno più bravo dell’altro. Nel film sono due coppie, una che sta insieme da un po’ e l’altra di recente formazione. Burton e Taylor hanno un passato difficile da superare, ma tirano avanti. La loro casa è lo specchio della loro persona, è piena di cose ingombranti e fuori posto, e tra i due ci sono frecciatine ogni secondo, qualcuna passa inosservata e qualcuna fa assai male. I due sposini sono praticamente scioccati. La scena cult per me è quando Liz Taylor dichiara al marito che pur con tutti i suoi difetti non è comunque un mostro. Sandy Dennis pure brava assai è una delle attrici dimenticate di fine anni ’60.
Persona” è un film di Bergman in cui ci sono due donne, Bibi Andersson e Liv Ullmann. La Ullmann è muta e la Andersson è la sua infermiera. La Andersson parla parla e la Ullmann ascolta e ascolta. Il legame tra le due è forte e particolare. Si vedono sempre più spesso e la Ullmann sembra migliorare, mentre la Andersson mostra una certa inquietudine. Parla, ma a se stessa, e la Ullman risponde anche senza dire niente. Lentamente i loro volti cominciano a somigliarsi sempre di più, e la voce di Bibi diventa la voce di Liv. Non c’è più distinzione tra le due, sono diventate una persona sola. Si stanno fondendo. Ma non è mica possibile una cosa simile.
La nera di…” è un film di Ousmane Sembene, cioè uno dei primi e rari film di autori africani. La storia è molto semplice, c’è una ragazza senegalese che va a servizio in una casa di una coppia francese. Lontana dalla famiglia la ragazza ha il suo lettino, le sue riviste, le sue scarpe, le sue sensazioni, ma la coppia presso cui lavora la considera come il vaso a centro tavola o il quadretto appeso accanto alla porta. Le giornate passano e la ragazza si spegne poco a poco. Tutto qua, ma provate a vedere lo stesso se è tutto qua.
Incompreso” è il drammone strappalacrime di Comencini con Anthony Quayle che diventa vedovo e non si accorge della sofferenza del primogenito, che si sacrifica per il bene del fratello minore viziato dal papà. Non che Quayle sia cattivo, per carità, è solo che non se ne accorge. Il ragazzino gli vuole bene lo stesso e un giorno un ramo fa crac e lui si fa male. Madonna quanto si piange con questo film, cioè è impossibile, nel senso che è non-possibile non commuoversi quando papà e figlio si parlano finalmente a cuore aperto. L’attore protagonista ha recitato solo questo film, oggi è un medico, è stato bravissimo con almeno 4 esse.
La caccia” di Carlos Saura è un film in cui ci sono alcuni amici che vanno a caccia di conigli. Fa troppo caldo. Dovrebbero dar retta ai conigli, ma invece si mettono a ricordare il passato e non so chi glielo fa fare, perché da quel momento nessuno più è al sicuro, e si danno la caccia a vicenda. Vediamo chi ci resta secco.
Davvero c’è tanto in quest’anno: Manfredi e Adorf alle prese con San Gennaro, le solitudini dell’uomo e la donna di Lelouch, i russi che sbarcano negli USA e Fahrenheit 451 di Truffaut. Poi Polanski gira Cul de Sac con la sorella della Deneuve, Eastwood non manca un colpo e le foto di Antonioni di Blow-up dove le mettiamo? Mi sono divertito un sacco con la partita di poker di “Posta grossa a Dodge city”, e l’asinello Balthazar di Bresson è uno dei finali più drammatici della storia, non pensavo che avrei retto tutta la visione di “Andrej Rublev”, e invece sì, e poi c’è il realismo mai visto della “Battaglia di Algeri”. E potrei anche continuare. Uno dei miei anni preferiti insomma.
1967
Siccome col 1966 ho preso per le lunghe, volevo sintetizzare col 1967, ma pure qui c’è un sacco di bei film. C’è pure “The big shave” che è uno dei primi lavori di Scorsese. Un uomo si rade e si taglia. Purtroppo per lui, il taglio non è un taglietto, giusto così perché si trova in youtube e dura 5 minuti.
Il mio film preferito di quest’anno è “La calda notte dell’ispettore Tibbs”. Io non l’avrei mai detto, mi dovete credere, ci avrei scommesso nemmeno 2 centesimi perché i polizieschi un po’ mi stufano, e poi i film che parlano di razzismo negli anni ’60 siccome li sto vedendo in sequenza ne ho visto un casino e poi forse il titolo non mi ispira, ma invece sono rimasto attaccato subito dai primi minuti, adoro Steige e Poitier, e quando Poitier schiaffeggia a sorpresa il tizio nella serra vi giuro è una delle scene più intense e belle e vere, ho cliccato su 10 su IMDb e da lì non cambio idea.
Il problema è che ho messo 10 anche a “indovina chi viene a cena?” che ha il dubbio onore di essere il film dagli albori al 1967 che ho visto più volte in vita mia, ne conto con certezza 6. Potrei dire di che colore sono i fiori nei vasi e quanti calzini ha Tracy nell’armadio. In questo film per me funziona tutto, mi manda dei brividi di nostalgia di un’epoca della quale sono un prodotto culturale, sono un GenX nel midollo probabilmente e sarà per quello che questo film non mi stanca mai.
Non ce la faccio a non segnalare almeno il titolo di “A piedi nudi nel parco” e devo dichiarare che anche se il finale di “Riflessi in un occhio d’oro” è qualcosa di davvero particolare, Robert Forster in quel film è di una bellezza sconvolgente. I colori di “Le Samourai” di Melville sono elegantissimi, il film è una goduria per gli occhi. Poi ci sono i filmoni da macho di Lee Marvin tipo “una sporca dozzina” e c’è Paul Newman e Dustin Hoffman, Dirk Bogard fa venire i brividi in “Tutte le sere alle nove” quando torna a prendere possesso della casa coi 7 figli che ha abbandonato e in “La bisbetica domata” la coppia Burton-Taylor funziona anche se mai lo diresti in quell’ambientazione lì.
Gli occhi della notte” vede Audrey Hepburn nei panni di una cieca che vive al piano terra di una bella casa dove ogni cosa è giusto dove deve essere, ma a quanto pare Alan Arkin è convinto che ci sia anche qualcosa che gli serve per evitare di essere accusato di omicidio. La Hepburn è all’oscuro di tutto (oddio che battuta) ma scema non è, così quando uno strano visitatore si insinua in casa sua con le scuse più formidabili lei inizia a sospettare. È uno dei thriller meglio congegnati mai visti questo qui, e non è nemmeno di Hitchcock! Non avevo mai realizzato quanto siano importanti le lampadine nel frigorifero.
New York: ore tre- L’ora dei vigliacchi”, questo titolo mi fa cagare però il film è bello. C’è la gente che prende la metro per tornare a casa, però è tardi e due grandissimi stronzi e cioè Tony Musante e Martin Sheen hanno voglia di divertirsi a modo loro, così entrano nella metro e iniziano a infastidire uno dopo l’altro tutti i passeggeri. C’è una quantità di arroganza, prepotenza e violenza gratuita in questo film che davvero la mascella si spacca dalla rabbia repressa che ti suscita. Si vede che il film funziona. È quando tu stai per fatti tuoi e questi ti devono bullizzare e non solo: la gente non alza 1 dito per aiutarti! Veramente, questo film è fatto bene. Per non parlare dei poliziotti che appena riescono a entrare nel vagone con chi se la vanno a prendere? No quello proprio non l’ho potuto soffrire! Bel film.
L’armata a cavallo” di Miklos Jancso è un film che fa venire il mal di testa. Siamo in guerra, è la guerra civile russa, ma non è importante, potrebbe essere una qualsiasi guerra. Qui non riusciamo a prendere posizione, la guerra fa schifo non importa di quale fazione tu sia. 10 minuti di film con gli occhi di una fazione e i loro progressi e le loro vittime, nemmeno fai in tempo a riconoscere i volti di queste persone che vengono fatte fuori dagli avversari, e Jancso ti trascina altri 10 minuti dalla loro parte, ti fa vedere i loro progressi e le loro vittime, i loro villaggi desolati e le torture. Ci rimani male, ma ecco che si passa all’altro punto di vista. E’ un film intelligente ed elegante.
C’è ancora lo choc incredibile di “Gangster Story” con il picco di bellezza di Faye Dunaway e il sangue che esplode sulla bianca pelle di Bonnie e Clyde, così come bianca immacolata è la schiena di Catherine Deneuve, perfetta protagonista di “Bella di giorno” di Bunuel, altro film simbolo dell’epoca, un’epoca in cui andavano i film di sexploitation tipo “Vixen” e roba del genere, pieni di tette e recitazione di serie b, ma che entravano a pieno nella cultura di fine decennio, che si sta avvicinando a quel ’68 di cui tanto spesso abbiamo sentito parlare come di una sorta di spartiacque culturale.
Per finire, è intelligente e complesso il volto di Bekim Fehmiu in “Protest” di Fadil Hadzic, ma che le h e le z non ingannino, il film si vede e si capisce perché parla di un’insoddisfazione che non ha bisogno di vocabolario. Poi c’è il cult camp “la valle delle bambole” con la sfortunata Sharon Tate, gli occhi penetranti della Mangano in “Edipo Re”, centomila spaghetti western, è l’altro drammone di Bresson “Mouchette”, con protagonista una ragazza che racchiude in sé tutto il bullismo subito da tutti gli adolescenti della storia della Pubblica Istruzione, veramente solo chi ha il cuore di pietra non si commuove con questa ragazza qui.
1968
Non mi pare vero che sto scrivendo del 1968 perché è l’ultimo anno che ho finito di vedere e anche se questa carrellata non vale poi molto almeno l’ho portata a termine, il che per me vale molto.
Prima di iniziare una piccola deviazione: in quest’anno c’è l’esordio di Spielberg, col corto “Amblin’” da cui quindi deriva la sua casa di produzione che è la Amblin Enterteinment! Altro corto è lo sperimentale “Hermitage”, di Carmelo Bene. Tra le mini-serie esce quest’anno l’Odissea di Franco Rossi. Fu un clamoroso successo riproposto dalla tv nostrana per vent’anni. Il ritmo è lento, ma i volti di Bekim Fehmiu e quello di Irene Papas sono senza tempo. Grandissimo l’episodio con Polifemo e ovviamente il finale coi Proci. Prima di diventare nota come cantante e presentatrice, Loretta Goggi era una precocissima attrice e la “Freccia Nera” fu uno dei suoi più noti successi.
Ok, allora andiamo veloci veloci, con lo stiloso “Diabolik” che era il bel John Phillip Law; le torture che patisce Alan Bates nell”’uomo di Kiev” pochi altri nella storia; Sordi è medico nella muta e Franco Nero aveva gli occhi più celesti mai visti. Sellers fa pisciar sotto anche le statue in “Hollywood Party” mentre la Vitti prende in mano la pistola e si colloca nella sua dimensione comica dopo anni di Antonioni. Rod Steiger è un gay represso ne “il sergente”, mentre Terence Stamp non fa preferenze di sesso in “Teorema” di Pasolini.
Steve McQueen è l’essere più figo mai apparso sulla terra in “Bullitt” e “Il caso Thomas Crown” ma nemmeno Clint Eeastwood scherza e voglio vedere chi scampa a un impiccagione come in “impiccalo più in alto” e chi è scazzato come lui in “L’uomo dalla cravatta di cuoio”.
Fuoco!” di Gian Vittorio Baldi è la sorpresina nell’ovetto Kinder del 1968. Siamo in un paesello del sud Italia e un tizio spara alla statua della Madonna durante una processione, poi si barrica in casa, con la moglie e il bambino che se la fanno sotto, e col fucile in mano si rifiuta di uscire e di dare spiegazioni. Poche parole, un set poverissimo, nemmeno tante spiegazioni ma per 1 ora e mezza sei nella casa e forse nella testa di questo ragazzo. Bellissimo film!
La sposa in nero” di Truffaut è la storia della vedova nera Jeanne Moreau (quanto mi è piaciuto questo film) che si era sposata da 5 secondi che le ammazzano il marito sulle scale della chiesa. Pensa prima di buttarsi dalla finestra poi decide che invece le conviene dare la caccia ai killer del marito. La curva della bocca della Moreau è perfetta per questa parte e vi assicuro che il modo in cui si ingegna per far fuori quei quattro è incredibile. Purtroppo questo film mi fa anche venire in mente la storia di Marta Russo ma lasciamo perdere.
L’urlo del silenzio” è il film che Alan Arkin per me prima valeva 6, 6 e mezzo mentre adesso invece sotto il 9 non scende. Arkin è un sordo muto ed è così solo, ma così solo, che lui il lockdown ce l’ha di default. Mi fa venire la forchetta in gola. Comunque sia affitta una camera in una casa con una famiglia sgangherata ma tutto sommato ok, e fa amicizia con Sondra Locke. Ma nemmeno lei è il vaccino che può curare la sua solitudine. Malinconia a quintalate.
Duello nel Pacifico” di John Boorman ci sono 2 persone solamente e cioè Lee Marvin e Toshiro Mifune. Sono in guerra e sono da soli in un’isola sperduta. Ognuno dei due vuole far fuori quell’altro, ma alla fine prevale la voglia di sopravvivere, chissenefrega se devo chiedere aiuto al nemico. Il finale di questo film, io sottoscritto dichiaro che David Lynch l’ha visto e gli è piaciuto.
E ora acceleriamo su quel pacco gigante pieno di innovazione che è “La notte dei morti viventi”, sul sudore e il calore di “C’era una volta il west”, il mio Leone preferito, sull’indelebile statua della libertà del “Pianeta delle Scimmie”, sui brividi che fanno venire lo sguardo di Sidney Blackmer e i sorrisi di Ruth Gordon in “Rosemary’s baby”, uno dei film che più mi ha fatto cagare sotto in vita mia, per dire due righe in più su “Kuroneko” di Kaneto Shindo, che è la storia di una vendetta operata da due donne vittime di stupro e poi uccise da una gang di samurai. Le due diventano dei fantasmi e uno dopo l’altro, in un’atmosfera onirica e agghiacciante conducono i samurai nel loro nascondiglio per farli fuori senza pietà alcuna. Un film con le palle.
Mi rimangono 2 film, il primo è “2001: odissea nello spazio” e io ho paura a parlare di Kubrick perché su Kubrick tutti hanno un’opinione e sanno argomentare meglio di me, così mi limito a dire che questo film l’ho visto come quando giochi agli incremental e fai prestige. La prima volta 15 minuti, la seconda volta ho retto 30 minuti, la terza volta 1 ora e la quarta volta finalmente avevo le skill giuste e ho goduto da pazzi.
Il mio film preferito del 1968 è “The Swimmer” di Frank Perry e Sydney Pollack, con Burt Lancaster. Lancaster si mantiene bene anche se ha già i suoi anni sulle spalle, e un giorno compare nella villa di amici, si fa una vasca in piscina e poi dichiara che se ne torna a casa a nuoto, passando da piscina in piscina, di villa in villa, lungo tutta la vallata. Armato solo del suo costume, si incammina verso la seconda piscina: una vasca e due chiacchiere coi padroni. Le persone che vede sono inizialmente cordiali e felici di parlare con lui, ma a ogni villa qualcosa non sembra andare per il verso giusto: c’è chi sbruffa, chi gli rinfaccia qualcosa, chi esplicitamente lo manda a quel paese. Lancaster stesso perde lo slancio e un po’ il sorriso. Se a un certo punto si sentiva così bene da poter reggere il confronto con un cavallo, improvvisamente si fa male e inizia a zoppicare. La villa successiva pare più lontana, e più ostile. Ad ogni villa scopriamo un pezzo della vita di quest’uomo, e lui con noi. Non possiamo sentire l’acqua sulla pelle, ma ti monta l’ansia. Lancaster pare invecchiato, i suoi piedi sono sporchi, i suoi occhi lucidi, le sue labbra sofferenti. Un’altra villa, e pare trascinarsi, e una piscina ancora, e nuota a fatica, e finalmente casa.
Non ho dormito la notte perché non volevo fare il mio sogno ricorrente in cui sogno di partire dalla mia casa di bimbo per arrivare alla mia casa attuale, e parto di corsa per poi andare piano, sempre più piano, per poi trascinarmi, fino a che non vedo la porta in lontananza, e non riesco ad aprirla, mai.
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